POESIA "LAVANDARE" DI PASCOLI NELLA RISCRITTURA DI MICHELE PANE
LAVANDARE
A 'nu siettu de terra menza scura
cc'èdi 'n' aratu senza voi, chi pare
riscordatu 'ntr' a neglia d' 'a chianura.
E a botte a botte de lu vullu vene
lu sciacqua-sciacqua de le lavandare
ccu' fuorti tuffi e longhe cantalene.
La tramuntana jujja ed è 'njelata
e tu nun tuorni ancòre allu paise!
Quandu partisti cumu m'hai lassata?
Cumu l' aratu 'mmienzu allu majise!
Michele Pane
LAVANDARE(traduz.in Italiano)
In un pezzo di terra mezzo scura
C' è un aratro senza buoi, che pare
dimenticato in mezzo alla nebbia della pianura.
e a tonfi a tonfi dal tònfano arriva
lo "sciacqua sciacqua" delle lavandaie
con forti tuffi e lunghe cantilene.
"La tramontana soffia ed è gelata
e tu non torni ancora al tuo paese.
Quando partisti, come mi hai lasciata?
Come l'aratro in mezzo al maggese"
La poesia "Lavandare" di G. Pascoli viene tradotta in "versi Reventini" dal nostro poeta, attratto dall'affinità con il suo animo e le sue vicende sentimentali.
Michele Pane non si limita ad una "traduzione" vernacolare della poesia ma le dà una nuova veste letteraria ed un nuovo ethos. Metrica e paesaggio letterario sono diversi; quest'ultimo dalla sua penna emerge come simbolo: la sua terra, circondata da montagne e dispersa nella nebbia del ricordo, vela sentimenti lasciati incolti, speranze tradite e una coscienza inquieta che rimugina tutto: "u vullu", "a botte a botte", "sciacqua-sciacqua" sono rimestati dalla voce femmi
nile che sale come "cantalene" e poi scuote il cuore con l'accusa finale: "e tu nun tuorni ancòre allu paise!" "m'hai lassata". Qui c'è tutto il travaglio che accompagna il poeta e che và oltre le relazioni sospese con le donne della sua vita per abbracciare probabilmente quella terra natia lasciata e mai dimenticata che nel suo inconscio non smette mai di accusarlo.
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