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SAVELLI

STORIA

Il paese venne fondato da un gruppo di profughi, vittime del terremoto del 27 marzo 1638 (con epicentro Belsito) che ricevettero in locazione dalla principessa Carlotta Savelli della famiglia nobile romana dei Savelli, la località Scalzaporri. I terremotati della domenica delle Palme provenivano soprattutto dal paese di Scigliano e dalla sua frazione Carpanzano. Gli arrivati si unirono ai pastori del principe di Cerenzia fondando una comunità che venne chiamata Savelli, in onore della benefattrice.

 

Le famiglie dei profughi furono identificate con i cognomi Arcuri, Astorino, Caligiuri, Cristiano, Fabiano, (Di) Fazio, Gentile, Grande, Greco, Gualtieri, Mancuso, Mascaro, Manfredi, Mauro, Pontieri, Rocca, Sacco, Scalise, Scarpino, Tallarico, Torcasso. I residenti (chiamati Marzi) riportavano i cognomi di Ananina, Capalbo, Chiarello, Drogo, Giodano, Lucente, Marasco, Molinaro, Pugliese, Rotundo, Spina, Vecchio[4][5]. Successivamente i due gruppi si fusero con i matrimoni.

I primi coloni, vista la ricchezza di sorgenti d'acqua, terrazzarono con muretti a secco tutti i terreni vicini alle sorgenti e vi impiantorono frutteti, oliveti, vigne, orti. Seminarono i terreni più pianeggianti. Vicino al fiume Lese impiantarono i primi mulini e le filande.

In collina costruirono palmenti e frantoi, forni e fornaci.

Moltissimi vivevano nei pagliai di canne e legna, altri costruirono le prime casette (di 30/40 mq.) munite di caminetto, che servivano da cucina e camera da letto per tutti i componenti del nucleo familiare. Allevarono numerosi ovini e caprini, per i latte e i formaggi. Per la carne utilizzarono i suini. Successivamente furono raggiunti da artigiani: muratori, cestai, barilari, calderai, conciatori, fabbri, falegnani, sarti. In maggioranza erano braccianti agricoli. Le donne, fin dalla tenera età coadiuvavano i famigliari in tutte le attività.

 

La comunità dipese dall'Università di Verzino fino al 1812, quando Gioacchino Murat ne riconobbe l'autonomia.

 

Dopo gli Spinelli il territorio passò in feudo ai Cortese e successivamente, nel 1762, in gestione ai Barberio Toscano di San Giovanni in Fiore, che lo acquistarono nel 1804.

 

L'amministrazione francese tassò eccessivamente la popolazione, già succube delle precedenti tirannie feudali. I baroni riscuotevano i tributi, i fitti, i terratici e si appropriarono di quasi tutti i diritti concessi dagli Spinelli.
I savellesi cercarono sempre di acquistare i terreni coltivati. Sperarono inutilmente nelle leggi eversive della feudalità francesi. I Borboni, come le precedenti dinastie aragonesi e angioine, avevano la deprimente abitudine economica di vendere i feudi al miglior offerente per cui in Calabria, nel meridione in generale, si alternarono casate che si preoccuparono di spremere le popolazioni spendendo la ricchezza nella capitale, Napoli, dove risiedevano.
Nel 1796 un sacerdote, Don Vincenzo Arcuri, pagò con la morte la segnalazione al sovrano borbonico delle vessazioni subite dai compaesani da parte del feudatario Nicola Barberio Toscano. Nel 1861 un altro sacerdote, Don Giuseppe Rotundo, guidò una manifestazione di 300 braccianti che a San Giovanni in Fiore si riunì ad altri contadini per marciare su Crotone e per occupare le terre baronali. Caduta nel frattempo la dinastia borbonica, pagò con il carcere per questa manifestazione[4]

Nel periodo napoleonico, dal 1796 al 1812, nella lotta tra i partigiani francesi e quelli borbonici ben 90 savellesi persero la vita, altri rimasero briganti ricercati.
Il Brigantaggio si acuì anche con la venuta dei Savoia, che con leggi del 1867-1868, vendettero le terre ecclesiastiche e quelle demaniali ai baroni. Vane le promesse di Garibaldi, che aveva arruolato combattenti e destato simpatie nelle popolazioni con promesse di future concessioni di terreni. Dal 1860 al 1876 si scatenò una lotta di brigantaggio in tutta la Sila, dove cessò proprio con il contributo delle guardie nazionali savellesi.

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Nonostante alcuni programmi di lavori pubblici, per i 5.000 savellesi, residenti nel 1881, non rimase come alternativa che l'emigrazione. Dal 1881 ad oggi 10.000 savellesi si sono spostati nell'America Latina, negli Stati Uniti, in Australia, in Germania, in Francia, in Belgio, in Svizzera e in Italia in Lombardia, in Piemonte, in Liguria, in Toscana e nel Lazio.

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