Franco Emilio Carlino
Quella che cercherò di esporre in questo mio nuovo contributo è la storia di una tradizione che ha raccontato e continua a distinguere il territorio del Reventino. Voglio parlare della favola di un opificio fiore all’occhiello della Calabria nel mondo. Un’avventura familiare quella del Lanificio Leo fatta di passione e di lavoro e costruita sulla genialità delle persone e sull’attaccamento al territorio. Una storia che da oltre 145 anni si tramanda da padre in figlio perpetuando una dinamica tradizione industriale che si avvale soprattutto della utilizzazione di un parco macchine antichissimo. La scena e il complesso degli elementi naturali nel quale la favola ha il suo concepimento è Carlopoli piccolo centro della Sila Piccola, catanzarese, un borgo avvolto da un ambiente naturale e paesistico di vasta attrattiva per le sue risorse culturali, artistiche, archeologiche, dove nella valle del Reventino sulle rovine di un arcaico mulino posto sul Corace, nelle vicinanze dell’Abbazia di Corazzo, venne costruito il lanificio e dove uomini e donne consegnavano la propria lana per averne filati e tessuti. Una favola umana che in seguito trova la sua sede definitiva a Soveria Mannelli, altro importante centro silano vicino a Carlopoli e sempre nella medesima provincia e nello stesso territorio del Reventino. Il Lanificio Leo, che può vantare di essere la più antica e prima azienda tessile calabrese, secondo le numerose fonti storiche, nasce nel 1873 e rappresenta uno straordinario ambiente e momento storico della realtà tessile calabrese ad iniziare dalla seconda metà del XIX secolo fino ai nostri giorni.
In tutta sincerità ci troviamo di fronte a uno dei modelli più attraenti dell’artigianato tessile del Paese che, rimanendo in tema, si intesse con la vita stessa del suo territorio e le tradizioni umane e culturali della sua gente. Un luogo quello di Carlopoli prima e di Soveria Mannelli poi nel quale i processi di cambiamento avviati, secondo le moderne tecnologie della produzione, dettati dalle nuove istanze del mercato tessile, non rinnegano quella che fu la iniziale inclinazione artigianale dello stabilimento di Carlopoli, anzi si può tranquillamente sostenere, analizzando i risultati sotto gli occhi di tutti, che invece continua a concorrere a una maggiore seduzione della clientela e alla valorizzazione di quello che fu il suo antico manufatto. Prima di addentrarmi nella descrizione di eventuali altri dettagli, a questo punto credo secondari sulla storia del Lanificio, ritengo sia invece molto utile fare riferimento ad alcuni elementi di assoluta chiarezza rinvenuti su alcune schede tecniche nelle quali si parla a 360° non solo dell’azienda ma anche del Museo Laboratorio del Tessile attualmente ubicato in via Cava, 43 di Soveria Mannelli, insieme ai fatti e alle spiegazioni che nel corso del tempo spinsero i Leo a trasferirsi a Soveria.
Le prime segnalazioni, dalle quali affiorano elementi di assoluta novità e di straordinario interesse di documentazione e testimonianza rispetto alle generali notizie riportate dai diversi canali d’informazione sono quelle della studiosa Ginevra Gaglianese nel suo studio sul settore e dell’archivio del SIUSA (Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche) che a riguardo così descrive: «Nel 1895 Filippo Marincola S. Floro, nella relazione alla Camera di Commercio di Catanzaro, per quel che riguarda le forze economiche della stessa provincia, riporta: "quasi tutta la produzione lanaria della Provincia viene pettinata, cardata, filata e tessuta da donne a domicilio per la massima parte nei paesi di montagna". Ma egli aggiunge: "nompertanto in Carlopoli è stata impiantata da Antonio De Leo e comp. un piccolo filatoio con 60 fusi attivato da forza animale, e vi lavorano 6 operai per circa 180 giorni. Il piccolo filatoio di cui si parla è attivo in Carlopoli già da un ventennio circa, fondato dai fratelli Antonio Leo fu Bernardo e Giuseppe Leo fu Bernardo, e con buona sostanza, è possibile fissare la sua fondazione al 1873. Tale data è desumibile sia dall'analisi dell'età dei fondatori e sia per quanto descritto nella copia di compravendita avvenuta il 14 marzo del 1908 in cui si precisa che già intorno al 1898, gli utensili del lanificio...per il tempo decorso, stante l'uso sono quasicché consunti". Del resto, non meraviglia -continua il Marincola nella relazione- che il Lanificio Leo nasca a Carlopoli, infatti il piccolo centro della presila catanzarese, viene ricordato sin dal 1845 per l'abbondanza di lana, per la produzione dell'arbaso, per la qualità fine dei tessuti ivi prodotti e dunque per un know how [1] diffuso nel settore tessile»[2]. E proprio a Carlopoli, la prima attività dell'allora “Lanificio Fratelli Leo”, sito in un locale al piano terra dell'abitazione della famiglia Leo, consiste nel processo di cardatura (effettuata per mezzo di tre carde con divisore azionate da forza animale), nella filatura (effettuata per mezzo di una filanda manuale a 60 fusi) e nel lavoro di tessitura (effettuato al principio con telai manuali). Probabilmente agli inizi del 1900 risale l'apertura di una filiale a Castagna, sul fiume Corace, a valle dell'Abbazia Cistercense di Santa Maria di Corazzo. Qui operano i fratelli Mariano ed Emilio che, in seguito alla morte del padre Antonio Leo fu Bernardo, avvenuta nel 1894, e in virtù di una divisione amichevole, avvenuta tra gli eredi del defunto nel 1915, sono gli unici eredi degli “ordigni del lanificio”. In quegli anni sono attivati: un “murgiunì” di 200 fusi, due carde, un divisore di capi 30, un diavolotto, una manganella, e una filanda manuale di 60 fusi. L'integrazione dell'attività del lanificio sul territorio, dunque la sua valenza socio economica e le suggestioni provocate nell'immaginario collettivo (la filanda appare agli occhi della gente del posto, come “il diavolo che fila con 60 mani”) dovette essere di certo rilevante se, ancora oggi, il luogo in cui sorgeva la filiale di Castagna e di cui rimangono solo i ruderi, è ricordato, anche nelle cartine topografiche dell'IGM, con il toponimo “a machina da lana”. Alla fine del primo conflitto mondiale, Emilio Leo (rimasto il solo ad occuparsi dell'opificio, in seguito alla partenza del fratello Mariano per la Cirenaica), trasferisce l'attività principale a Bianchi piccolo centro della provincia cosentina e paese d'origine della propria consorte, sposata da poco. L'opificio di Castagna, come filiale del “Lanificio Fratelli Leo” di Carlopoli, rimane attiva sino al 1920. Il nuovo lanificio di Bianchi è impiantato in una struttura di proprietà del barone Serravalle, edificata a valle del fiume Corace, anche qui nelle adiacenze di un mulino preesistente. L'impianto, azionato da forza idraulica è costituito da macchinari atti a cardare, filare, tessere, follare e tingere la lana. L'attività in Bianchi continua sino al 1935, anno in cui il lanificio ha come nuova e definitiva sede Soveria Mannelli, in provincia di Catanzaro. Questioni logistiche e commerciali inducono, infatti, Emilio Leo a trasferire l'attività a Soveria Mannelli. Nello specifico, le motivazioni di questa scelta di cambiamento radicale e coraggiosa sono la possibilità d'alimentare in maniera continuativa, attraverso l'energia elettrica, l'impianto di produzione, senza quindi subordinare l'approvvigionamento energetico ad un certo grado di stagionalità, dovuto al regime idrico variabile del fiume Corace, e la centralità commerciale di Soveria Mannelli, che si pone come nodo viario lungo la statale 19 collegante Catanzaro e Cosenza, nonché tappa intermedia lungo la tratta ferroviaria delle "Ferrovie Calabro-Lucane" collegante le medesime località. L'opificio è impiantato in un fabbricato di proprietà di Francesco Bonacci, fabbricato che i Leo acquisteranno nel 1941. Nel 1942, a seguito della prematura morte di Emilio Leo, i figli Antonio (venti anni) e Giuseppe (diciotto anni), nonostante la giovanissima età e il periodo difficile del secondo conflitto mondiale riescono a innescare un significativo sviluppo dell'impresa che si traduce in un ampliamento del parco macchine e in un incremento della manodopera. Il lavoro delle macchine è inoltre affiancato da un'attività del tutto artigianale che riguarda il settore della decorazione su tessuto: un peculiare processo di stampa a mano, dove gli strumenti utilizzati sono dei calchi in legno di pero incisi manualmente ed una pasta a base di ossidi metallici e farina, dai colori, ruggine, verde rame e nero. Tra gli anni cinquanta e sessanta l'azienda vede un ulteriore ampliamento strutturale e di organico. Un ampliamento in sintonia con la crescita dell'azienda in termini di visibilità e di potere concorrenziale (che ha come effetto inevitabile, la chiusura delle altre realtà produttive laniere presenti nel circondario). La seconda metà degli settanta del Novecento inaugurano, con la morte di Antonio a soli 56 anni, e una serie di elementi congiunturali (crisi del tessile, sostituzione sul territorio della pecora gentile di puglia con la razza sarda, cambio generazionale e repentino cambiamento del sistema economico/sociale di riferimento) un lento ed inesorabile periodo di declino dell'attività che si conclude nel 1993, quando, in virtù di una divisione avvenuta tra i membri della famiglia Leo, Giuseppe Leo (classe 1922, terza generazione) rimane unico erede del Lanificio, alla cui tenacia imprenditoriale e all'amore verso l'attività di famiglia, si deve la conservazione della più antica fabbrica tessile laniera della Calabria. Grazie a questo presupposto dalla seconda metà degli anni novanta del Novecento, il Lanificio Leo, con il lavoro innovativo di Emilio Salvatore Leo, figlio di Giuseppe, ritorna ad essere un'azienda di prestigio del territorio. Conservando ancora attivo il monumentale parco macchine di fine Ottocento con il quale si realizza parte della produzione, il Lanificio Leo rappresenta uno dei casi più significativi di azienda-museo in cui logiche di produzione design-oriented e valori legati al patrimonio industriale si integrano in un modello di management che coniuga il "fare impresa" con gli strumenti della cultura. L'azienda, nel 2001, è stata tra i 16 finalisti del Premio Guggenheim impresa&cultura e ha vinto il premio Cultura di Gestione. Nel 2008 con la nuova società Lanificio Leo SAS, l'azienda ha cominciato nuovamente a investire in tecnologia coniugando sapientemente tradizione e innovazione” [3] .
La seconda scheda è pubblicata da Monica Amari che così riporta: “Il Lanificio Leo […] esplica in oltre 1000 mq un ciclo produttivo chiuso, dalla trasformazione della lana in filo alla tessitura sia a licciate [4] che jacquard, dal finissaggio alla confezione. Il parco macchine annovera pezzi tutti funzionanti che vanno dal 1890 al 1965 ed è ancora conservato al suo interno il processo di stampa a mano. La produzione tradizionale raccoglie le collezioni Icone Archetipe, per l’arredo casa e Jacq, per il letto. […] Oggetto dell’esposizione è l’intero parco macchine monumentale oltre alla collezione di 300 calchi in legno di pero risalenti alla fine dell’Ottocento, intagliati a mano e utilizzati per il processo di stampa hand-made su tessuto. Il Museo è anche destinato ad essere luogo di produzione sperimentale e contenitore di eventi culturali, come la rassegna “Dinamismi Museali”, ospitata ogni mese di agosto, che si prefigge di indagare il rapporto tra arti visive e luogo industriale” [5] .
La storia moderna dell’opificio si sviluppa in sintonia con le richieste del mercato e della moda di oggi. I prodotti, le sue collezioni, sono sempre la conseguenza della fusione tra quella che è stata e continua ad essere la tradizione tessile centenaria, e il nuovo concetto di prodotto in linea con quello che è oggi il nuovo design. I manufatti rivelano ciò che è il ricco retaggio delle conoscenze e delle competenze acquisite nell’arco degli anni, che insieme alla dedizione, alla professionalità e al talento consentono ancora oggi di ottenere raffinati manufatti.
Ed è proprio sul concetto di tradizione e innovazione che affido la chiusura di questo contributo alle parole di Angela Zanatti che in suo articolo così ama scrivere: “Alla vocazione classica, legata alla qualità della materia e all’eccellenza della produzione raggiunta in quasi 140 d’esperienza, il Lanificio Leo affianca un approccio contemporaneo e una vocazione sperimentale. Così, con un work in progress che viene da lontano, la fabbrica si è trasformata in laboratorio e centro propulsore di energia creativa, con una complessa e articolata operazione di auto-rigenerazione che è partita più di dieci anni fa e, in un certo senso, non si è mai conclusa. Dal cuore della Calabria, una storia di design italiano”[6] .
Bibliografia
[1] know how (dalla lingua inglese ‘sapere-come’) – In il DEVOTO-OLI 2016, Il complesso delle cognizioni ed esperienze per il corretto impiego di una tecnologia o anche, più semplicemente, di una macchina o di un impianto; estens, il possesso di cognizioni specifiche necessarie per svolgere in modo ottimale un’attività, una professione, ecc.
[2] GINEVRA GAGLIANESE, L’industria laniera nella Calabria del XIX e del XX secolo. “Spirito di industria” a Carlopoli (CZ), in ROGERIUS - ANNO XVI - N. 2 - Luglio/Dicembre 2013; SIUSA - Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche In http://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-bin/pagina.pl?TipoPag=prodente&Chiave=56714
[3] SIUSA - Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche In http://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-bin/pagina.pl?TipoPag=prodente&Chiave=56714
[4] Licciate - Da liccio. Liccio, in il DEVOTO-OLI 2016, elemento del telaio per tessitura, la cui funzione è quella di sollevare e abbassare i fili per consentire il passaggio della navetta; jacquard, punto a maglia a disegno geometrico ottenuto alternando i fili di diverso colore mediante uno speciale dispositivo applicato alle macchine di maglieria o ai telai per tessitura.
[5] Monica AMARI, I Musei delle aziende. La cultura della tecnica tra arte e storia, Franco Angeli 2001, p. 297.
[6] Angela ZANATTI, Design sul Filo di Lana, in http://living.corriere.it/arredamento/complementi/lanificio_leo-20197871821/.
Gregge di pecore sull'altopiano silano
Carissima Ginevra grazie alla tua segnalazione ho avuto modo di dare una sistemata anche all'articolo. Ho inserito il tuo nome nelle note e nella bibliografia. Cordialmente Franco
Gent.ma Ginevra, sono io a ringraziarla per la sua risposta anche se con molto ritardo, ma motivi familiari non mi hanno concesso tempo per seguire da vicino i commenti del blog. In effetti nel mio articolo ho cercato di raccogliere più notizie possibili per tirare un articolo per l'associazione u.hocularu al quale appartengo non per area geografica ma per il dialetto che accomuna il mio paese con la vostra area geografiaca. Il blog è nato per questo. E' un luogo aperto per il confronto quello che tu mi dici della ricerca è importantissimo e ho inserito il tuo nome nella bibliografia. Questo è il mio numero di telefono 3392768161 se vuoi chiamarmi e la mia mail fecarlino@tiscali.it se vuoi scriverm…
Gent.mo Franco Emilio, a nome dell'azienda Lanificio Leo, la ringrazio per l'attenzione volta verso la storia del nostro territorio e verso la nostra realtà imprenditoriale.
A tal proposito, tengo a precisare che le notizie storiche relative all'azienda, da lei riportate, sono il frutto di una ricerca da me effettuata e sintetizzata in una tesi di specializzazione nel 2000. Un riferimento bibliografico più dettagliato è dato da un articolo pubblicato nel 2013:
GINEVRA GAGLIANESE, "L'industria laniera nella Calabria del XIX e dell XX secolo. Spirito di industria a Carlopoli (CZ)", in Rogerius, anno XVI, n°2 luglio-dicembre, 2013, pp.17-25.
Grazie ancora per il prezioso contributo.
Ginevra Gaglianese, Lanificio Leo
Grazie del commento
Commento di Domenico Scavo su facebook:
Le idee di progetto e la tenacia pagano sempre,inteso come IMPRESA