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Mandatoriccio e i violenti terremoti del 1636 e 1638 che colpirono i Casali cosentini

Aggiornamento: 10 mag 2018

Franco Emilio Carlino

Da un triste destino la nascita di sentimenti nobili

di amicizia, fraternità, familiarità e affiatamento[1]

L'opportunità di far parte e collaborare con l'associazione 'u hocularu, secondo le linee generali del progetto intese a "valorizzare, promuovere ed approfondire il legame dei comuni calabresi, che "parlano" il dialetto della Sila, con la propria "lingua" e cultura originarie”, come del resto riportato nella copertina del sito, mi offre l’opportunità di aggiungere poche, ma significative informazioni circa alcuni fattori che indirettamente coinvolsero il mio paese, Mandatoriccio, dopo il terremoto del 1636 e che ci aiutano a riflettere su un altro fondamentale aspetto delle sue origini.

La comunità mandatoriccese, per quanto se ne ha conoscenza, si andò a formare anche a causa dell’evento citato, che ferì i Casali cosentini e che spinse le popolazioni interessate, diverse per provenienza e origine dei territori, a raggiungere il nascendo Casale di Mandatoriccio.

In relazione a ciò, dunque, si può attestare che, la comunità mandatoriccese non può essere considerata pienamente autoctona del luogo. Oggi, però, dopo i suoi quasi quattrocento anni di vita, credo che la stessa si sia spogliata di tale condizione ed abbia raggiunto una sua completa omogeneità.

Le notizie generali e le informazioni acquisite riferiscono dei violenti terremoti del 1636 e 1638, ma in particolare raccontano che a seguito del terremoto, verificatosi il 27 marzo 1638, era sabato delle Palme, numerosi abitanti colpiti dal sisma si avviarono per trovare nuove località più sicure disposte ad ospitarli. Tra questi, tanti provenienti da Carpanzano si spinsero verso le tranquille e floride terre di Umbriatico, abbandonando il loro paese trafitto dalla costernazione e dalla perdita di tante persone care. La sciagura naturale si faceva sentire con tutto il suo peso di morte e dolore. I Carpanzanesi trovarono, se così si può dire, la loro sicurezza provvisoria in una produttiva contrada di Umbriatico chiamata Pelleca.

Altri profughi, invece, provenienti da Rogliano, pare fossero ospitati nelle stesse zone del rione Pelleca forse grazie a mons. Antonio Ricciulli allora vescovo di Umbriatico che ne sostenne il loro insediamento. Inoltre, si ritiene che il massiccio esodo cominciò a creare problemi di convivenza nella zona. Gli stessi abitanti di Umbriatico reputavano la presenza degli esuli un pericolo per il loro lavoro e il miglioramento economico delle loro famiglie e questo diede origine a non pochi episodi di incomprensione. Molti, soprattutto quelli arrivati da Carpanzano, partirono alla ricerca di altri luoghi forse più tolleranti riparando così in altri feudi limitrofi.

Alcuni si sistemarono nel podere Scalzaporri in territorio di Verzino. Altri ancora, come riporta lo storico Joele Pace trovarono riparo nel nascendo Casale di Mandatoriccio accettando l’invito di Teodoro Mandatoriccio, Duca di Crosia dove fu consentito loro di costruire abitazioni per la loro dimora, dando così inizio a un primo incremento demografico.

Va inoltre ricordato che nel Casale erano già presenti, secondo quanto riportato in seguito da mons. Renzo, alcuni esuli albanesi, plausibilmente ospitati dai Mandatoriccio nelle schiere dei loro domestici.

Nei casali le scosse sismiche non accennarono a diminuire dando luogo l’8 giugno dello stesso anno a un nuovo sisma, molto violento che creò scompiglio e scombussolò il territorio circostante già fortemente provato e devastato dalla furia del primo terremoto. Il luttuoso evento, che funestò la Calabria arrecò grandissimi danni e generò altro esodo.

I sinistrati sollecitati anche dall’appello dei loro compaesani e dalla positiva visione di una più sicura sistemazione, si mossero verso luoghi più tolleranti e sicuri.

Tra i nuovi profughi questa volta anche abitanti provenienti da Scigliano che insieme a quelli di Carpanzano sono ricordati per aver alimentato un vecchio insediamento urbano nella zona Scalzaporri dando i natali a Savelli, così battezzato in onore di donna Carlotta Savelli, figlia del Principe di Albano, Paolo Savelli, come ringraziamento alle sue premure nei riguardi dei tanti fuggiaschi in cerca di riparo. Molti profughi di Scigliano si unirono ai primi arrivati anche nel nuovo Casale di Mandatoriccio, consolidando maggiormente i legami tra i due paesi di Savelli e Mandatoriccio, rinforzandoli nell’affetto reciproco. Infatti, è noto che gli abitanti dei due centri silani abitualmente, tra loro, amano definirsi sorella e fratello.

Gli abitanti di Mandatoriccio e di Savelli sono uniti perciò da una singolare e straordinaria vicenda storica che ha cause antiche e nello stesso tempo dolorose, ma che si fonda su serrate relazioni parentali. Molte famiglie presenti a Savelli, divise per necessità, hanno parenti a Mandatoriccio e viceversa. Questi legami tra i due centri sono sempre stati vivi e continuamente rigenerati dal ricordo della medesima appartenenza alla stessa comunità, che un triste destino ha voluto tenere divisa, ma che a distanza di quattro secoli della loro fondazione, se pure nella contemporaneità, sollecitano sempre quei sentimenti nobili di amicizia, fraternità, familiarità e affiatamento verso un comune intendere che si mantiene nel senso innato dell’ospitalità, cordialità e cortesia, ma anche nel tramandare nel tempo stessi cognomi, nomi, oppure i toponimi come le vie e i rioni.[2]

Su quanto riferito, ne fa riferimento anche mons. Luigi Renzo che a ragguaglio e conferma, tracciandone una puntuale descrizione, così asserisce: "Negli anni successivi si verifica una massiccia immigrazione di profughi provenienti dai Casali di Cosenza, da Rogliano e Scigliano, a seguito dei terremoti del 1636 e 1638.

Molti esuli, infatti, trovarono rifugio nel neo eretto Casale di Mandatoriccio, mentre altri si erano fermati in Contrada Scalzaporri di Verzino, dove, accolti dal vescovo di Umbriatico Antonio Ricciulli, originario anch’egli di Rogliano, costruirono in contempora­nea il Casale che chiamarono Savelli, in onore di Carlotta Savelli, moglie di Scipione II Spinelli, principe di Cariati, che aveva loro concesso il territorio.

Mandatoriccio, in conseguenza di ciò, si incre­mentò sensibilmente al punto che si rese necessa­rio l’ampliamento della prima chiesa sorta accanto al Castello che Teodoro Mandatoriccio aveva iniziato a costruire e che poi il figlio Francesco completò nelle sue parti"[3].

[1] Cfr. Franco Emilio CARLINO, Mandatoriccio Storia Costumi e Tradizioni, Ferrari Editore, Rossano, 2010, pp. 274-275; Franco Emilio CARLINO, Trame di continuità. Volume I: La Calabria e lo Ionio cosentino sino alla nascita del Casale di Mandatoriccio, p. 176, Ferrari Editore, Rossano, 2013; Franco Emilio CARLINO, Mandatoriccio Storia di un Feudo, Imago Artis, Rossano, 2016, pp. 27-28.

[2] Cfr. www.GALKROTON.mht . Cfr. www.comune.savelli.kr.it

[3] L. RENZO, Il feudo di Mandatoriccio, in Calabria di ieri e di oggi, p. 89-90, Edizioni Ferrari, 2007.





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