Franco Emilio Carlino
Dei diversi cenobii benedettini della Congregazione di Citeaux -scriveva Tancredi De Riso- “risuonano ancora rinomatissimi nelle calabre contrade i nomi di S. Maria di Corazzo presso il Crotalo, dotata nella fondazione all'undecimo secolo da Matteo, Ruggiero, Ricardo, Giovanni Sanseverino Conti di Martorano, i quali vi chiamarono i Monaci di Fossanova nell'agro romano del medesimo istituto cisterciense; la SS. Trinità d'Acri nel Cosentino, ed il famosissimo S. Stefano del Bosco nella Serra di S. Bruno, il quale fu prima Certosa egualmente celebre che quella di Grenoble in Francia, perché l'una e l'altra fondate da S. Brunone di Colonia istitutore de Certosini, ma che dal 1157 al 1499, quando a questi fu ridonato, fu badia cisterciense (9)[1] . Secondo l’Archivio Storico Italiano, “Incerta, ma della prima decade dopo il 1150, è l’origine di Sambucina nella Calabria, dove stette Gioacchino di Fiore prima di passare a Corazzo. […] Nel 1173 i Cisterciensi presero possesso di Corazzo, Curatium, dei conti di Martirano nell’ulteriore Calabria di casa Sanseverino fondato per i Benedettini e reso celebre per l’Abate Gioacchino”[2] , la cui presenza fu assecondata dai Normanni allo scopo di ostacolare l’espansione del monachesimo di rito greco-ortodosso anche attraverso la notevole spinta fornita per aumentare gli insediamenti abitativi delle terre circostanti che via via caratterizzarono l’Abbazia, nel corso del Medioevo, come baricentro economico e culturale di fondamentale rilevanza.
La vicenda del monastero di Santa Maria di Corazzo si intreccia in modo forte e deciso con quella dell’Abate Gioacchino, dove peraltro lui indossò la tonaca monacale al ritorno da Palermo dove lavorava presso la Corte normanna e dove aveva mosso i primi passi che lo portarono alla conversione verso quella forma di vita religiosa che è il monachesimo, ispirata alla concezione che qualsiasi attività umana, spirituale o materiale, intesa solo come atto d’amore verso Dio e annullamento dei fini mondani. Al ritorno da Palermo da laico visse per circa un anno presso il monastero della Sambucina dal quale si spostava per le sue predicazioni e fu proprio a seguito di uno di questi suoi viaggi che al ritorno di Catanzaro dove era stato ordinato sacerdote (credo dal vescovo Roberto I) che Gioacchino si fermò nell’Abbazia di Corazzo allora guidata dal beato Colombano. Gioacchino rimase conquistato dalla inesplorata magnificenza della natura boschiva circostante bagnata dalle acque del Corace che rendevano fertile il territorio limitrofo ricco di verdi pascoli dove l’agricoltura era il mezzo preminente per gli abitanti di Castagna e Carlopoli immerse nei boschi, ricchi del frutto tipico del luogo ossia la castagna, caratterizzato peraltro dalla presenza di una comunità in prevalenza impegnata nella coltura del baco da seta, e dalla pertinente sua lavorazione oltre che dalla trasformazione e dalla tessitura di altre fibre come la ginestra e il lino. Ma la cosa che più interessò l’Abate Gioacchino era la pace che recingeva le mura dell’Abbazia, luogo nel quale era possibile fare profonda meditazione, tutti elementi che persuasero Gioacchino a fermarsi a Corazzo. Nel 1176, infatti, scomparso l'Abate Colombano, primo priore dell’ordine cistercense dell’Abbazia, Gioachino fu designato a succedergli. Pur consapevole che quella chiamata lo avrebbe in qualche modo indotto a trascurare alcune sue passioni come (la meditazione, la lettura e la scrittura) esortato dagli stessi confratelli, dall’allora arcivescovo di Cosenza, Ruffo II, e dalle persistenti richieste dei Corazzesi, Gioacchino accettò di diventare il nuovo abate di quella illustre Badia. Da quelle che sono alcune fonti storiche ricavate dal De Riso si mosse verso Corazzo sostando nel corso del viaggio presso il Monastero cistercense della Sambucina di Luzzi e nei pressi della Santissima Trinità di Acri. Entrato nella pienezza delle sue funzioni, Gioacchino con il suo carisma cercò di mettere in pratica le sue importanti idee per portare avanti quelle salutari riforme, di cui sia la comunità cristiana e sia la famiglia avvertivano il necessario bisogno, riforme del resto già avviate con buona riuscita il secolo precedente da importanti monastici come S. Bernardo di Chiaravalle e S. Pier Damiani e che Gioacchino intendeva portare a compimento; e fu proprio nel monastero di Corazzo che l’Abate teologo di Celico, dove lui era nato nel 1130, compose alcune delle sue maggiori opere teologiche. Ma Gioacchino non abbandonò mai il suo desiderio che era quello di seguitare nel suoi viaggi di pellegrino per cui chiese fervidamente al Papa di esonerarlo dall’incarico per dedicarsi con maggiore vigore ai suoi studi biblici. Nel 1188, ottenuta la tanto sognata dispensa come superiore dell’Abbazia, Gioacchino lasciò Corazzo incamminandosi verso l’eremo di Pietrafitta presso Aprigliano e in seguito passando attraverso numerosi eremi
e chiostri dell’Italia intera. Un anno dopo nel 1189 a San Giovanni in Fiore costituì una nuova comunità religiosa con il nome di Congregazione Florense, riconosciuta poi nel 1196 da Papa Celestino III. L'abbazia di Santa Maria di Corazzo secondo molte fonti storiche risale all’XI secolo per opera dei benedettini, un Ordine religioso che fa riferimento alla regola e allo spirito di S. Benedetto. L’imponente edificio venne costruito, come già si accennava, nella parte inferiore del territorio vallivo, nelle imminenti vicinanze del fiume Corace. Si tratterebbe di una prima struttura di base benedettina, che in molti farebbero risalire alla metà dell’XI secolo (1060), e solo nella seconda metà XII secolo, (1155-1160), in seguito ai continui movimenti tellurici ricorrenti nella zona che interessarono la costruzione rovinandola vistosamente, questa fu trasferita ai cistercensi per la necessaria ricostruzione. Relativamente a quest’ultimo aspetto, e ad integrazione del presente contributo, mi preme ricondurre l’attenzione del lettore su una delle questioni centrali riguardanti l’Abbazia di Corazzo, ossia la sua riedificazione, che Federico Parise produce attraverso l’integrazione di alcuni elementi inseriti allo scopo in una interessante ricostruzione storica offrendoci l’occasione per scogliere alcuni dubbi. Ecco a riguardo in suo breve passo quanto sostiene: “Non vi è qui alcun passaggio normanno, troppo distante essendo il luogo dalle vie di comunicazione principali e dalle direttrici di arroccamento delle popolazioni nordiche: solo che a un certo punto se ne vanno i benedettini, ancora una volta senza lasciare tracce apparenti del loro passaggio se non in qualche pergamena o documento d’archivio, e subentrano i cistercensi. Quando? Difficile districarsi nella ridda delle date. Una relazione del 1650 la indica come costruita nel 1128, ma la data non viene presa in seria considerazione dagli storici: alcuni autori, seguendo certi diplomi di Enrico VI del 1195 e di Federico II del 1225, la vogliono fondata nel 1157 da un Ruggiero di Martorano come filiazione della Sambucina, ma questo sembra non concordare con una bolla di Alessandro II che concede l’Abbazia in privilegio dei cistercensi solo nel 1159. Altri autori invece, seguendo il più importante annalista del movimento cistercense, la ritengono fondata nel 1162 come filiazione di Fossanova. Il primo periodo di vita dell’Abbazia è governato dall’Abate Colombano fino al 1176, cui subentra Gioacchino da Fiore che la regge fino al 1189. Durante il suo governo egli si reca a Casamari fra il 1182 e il 1183, e secondo quanto affermano alcuni biografi dell’epoca cerca inutilmente di far passare Corazzo dalla filiazione di Fossanova a quella di Casamari per tramite della Sambucina. La maturazione spirituale e profetica di Gioacchino si compie nell’Abbazia laziale, ma è in Calabria che fa sentire tutti i suoi effetti, anche sul versante architettonico, e forse anche di Corazzo. C’è da chiedersi però a questo punto quando esattamente Santa Maria di Corazzo sia stata eretta, e se abbia sostituito interamente o solo in parte la precedente fondazione benedettina. Non vi sono dati certi perché solo da pochi anni si è iniziato ad operare un riconoscimento scientifico dei ruderi dell’abbazia tentandone una faticosa analisi storico critica e un recupero funzionale di carattere culturale. In attesa dei primi risultati di questi interventi non si può nascondere una prima sorpresa solo esaminando la pianta della chiesa, edificio più importante in ogni complesso abbaziale. Contrariamente alla tipologia cistercense questa è infatti a navata unica: e se si considera il lungo intervallo di tempo in cui Gioacchino ne è stato Abate, e che la tipologia degli insediamenti florensi che da lui prendono ispirazione privilegia appunto la navata unica, si può legittimamente avere il dubbio che lui stesso abbia edificato la chiesa di Corazzo” [3].
Fu danneggiata ancora dal violento terremoto del 27 marzo 1638 e ancora dopo da quello del 1783 che sconvolse la Calabria sul limite provinciale fra Cosenza e Catanzaro interessando per l’appunto la vasta area del Corace. Via via il monastero subì un graduale declino tanto che venne a poco a poco trascurato e depredato delle diverse opere artistiche possedute. Alcune di queste come l'organo e l'altorilievo in marmo rappresentante una Madonna col Bambino sono state trasferite nella Chiesa dello Spirito Santo della frazione Castagna, di Carlopoli, dove oggi sono visibili anche i suoi ruderi, mentre altre ancora furono trasferite nelle Chiese del territorio come riportato dettagliatamente dalla fonte wikipedia: “il portale della navata principale oggi nella chiesa di San Bernardo di Decollatura; l'altare maggiore in marmi policromi, una delle due acquasantiere in marmo bianco e sei candelabri lignei alla chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista a Soveria Mannelli; due altari lignei alla chiesa di San Giacomo a Cicala; una statua lignea di san Michele, lo stemma e uno degli altari minori alla chiesa parrocchiale di San Tommaso (frazione di Soveria Mannelli) una statua lignea della Vergine, l'altra acquasantiera in marmo e un altare minore alla Chiesa parrocchiale di Diano (frazione di Scigliano) una statua lignea, rappresentante la Madonna del Carmine, alla Chiesa parrocchiale di Adami, di Decollatura”[4] .
Come già ho avuto modo di riportare in un mio precedente intervento l’Abbazia nel 1807/1808 cessò definitivamente le sue funzioni a seguito di un decreto del governo di Giuseppe Bonaparte che ne intralciò una nuova ristrutturazione. Circa l’aspetto storico, l’Abbazia di Corazzo, quantunque oggi presente nel Comune di Carlopoli nella provincia di Catanzaro e appartenente all’attuale Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace, non ci deve far dimenticare che in passato questa faceva parte della Calabria Citra, poiché il territorio di Castagna, dove sorge l’Abbazia, era uno dei Casali di Scigliano e faceva parte della Diocesi di Martirano. Per quanto concerne, invece, la linea dinastica delle abbazie cistercensi va sottolineato come l’Abbazia di Corazzo risulta la terza figlia dell’Abbazia principale di Fossanova. Va ancora precisato che l'incantevole e perpetua vicenda dell'Abbazia di Santa Maria di Corazzo si rinnova in tantissime pubblicazioni che ricompongono i diversi avvenimenti storici di un passato millenario che ha interessato e per molti versi anche turbato il vasto territorio del Reventino. Un territorio che ha vissuto sulla propria pelle le diverse dominazioni succedutesi nelle diverse epoche partendo dai bizantini ai normanni, sino ai Francesi e ai Borbone. Un viaggio nel passato che per quanti viaggiano sulla strada statale che da Soveria porta a Castagna si schiude uno splendido paesaggio nel quale, come annota ancora Federico Parise “[…] trovano posto i suggestivi, imponenti ruderi della terza delle grandi abbazie cistercensi calabresi: Santa Maria di Corazzo. Incastonati sul fondo di una vallata boscosa e ricca di acque nel primo tratto dell’asta fluviale del Corace, […] i ruderi si ergono solitari e muti, testimoni di una passata grandezza della quale oggi, come per tante altre architetture storiche della Calabria, è assai difficile circoscriverne i confini e delinearne le vicende. Il sito è senz'altro quello tipico delle fondazioni cistercensi, appartato nel bosco ma non del tutto isolato, vicino a un corso d’acqua in grado di muovere le macine e produrre energia e soddisfare le necessità fisiologiche dei monaci: ma c’è qualcosa che sfugge, anche ad una prima occhiata, per chi ha visto altre fondazioni cistercensi, e altri ruderi più o meno dello stesso periodo. Il fatto è che qui i ruderi non sono la traccia dell’architettura, sono l’architettura medesima. Articolati in diversi ambienti e dispersi in una vasta superficie delle ondulazioni al margine occidentale della Sila Piccola, sembra che siano stati costruiti così e poi lasciati incompiuti per una sorta di maledizione di cui non si saprebbero rintracciare oggi le determinanti culturali e, naturalmente, storiche” [5]. Al di là delle diverse e interessanti considerazioni e informazioni, una cosa è certa, e cioè che a distanza di circa mille anni, l’Abbazia di Santa Maria di Corazzo, con i suoi imponenti ruderi, che si manifestano sulla verde superficie della vallata del Corace, ancora oggi, conferma un trascorso di sacralità, di carisma, di suggestione, di erudizione e di costume.
Bibliografia
[1] Tancredi DE RISO, Discorsi Accademici con note e schiarimenti e coll'aggiunta di un nuovo capitolo - per Tancredi De Riso della vita e delle opere dell'Abate Gioacchino per Bernardo Antonio De Riso cassinese, Milano, tipografia dir. Gernia Giovanni, 1872, p. 76. [(9) Archivio Cavense, pergamene appartenenti alla Certosa di Padula, ora nel suddetto archivio conservato].
[2] Archivio Storico Italiano fondato da G.P. VIEUSSEUX e continuato a cura della Deputazione di Storia Patria per le Provincie della Toscana, dell’Umbria e delle Marche, Terza Serie, Tomo XXV, Firenze Anno 1877, p. 472.
[3] Federico PARISE, Il disegno dell’architettura cistercense in Calabria, Volume 56 di Saggi e documenti di storia dell’Architettura, Alinea Editrice, 2006, pp. 123, 124.
[4] https://it.wikipedia.org/wiki/Abbazia_di_Santa_Maria_di_Corazzo.
[5] Federico PARISE, Il disegno dell’architettura cistercense in Calabria, Volume 56 di Saggi e documenti di storia dell’Architettura, Alinea Editrice, 2006, p. 123.
Foto di Mario Miglianese: Abbazia di Corazzo - ruderi
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