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Dalla vetusta 'Porchia' alla moderna Motta Santa Lucia

Aggiornamento: 23 ago 2018

Franco Emilio Carlino

Questo nuovo intervento di ricerca storico-culturale sui paesi del Reventino-Savuto si concentrerà su Motta Santa Lucia, Comune montuoso della Calabria, dalle origini medievali, appartenente alla provincia di Catanzaro. Muovendo dalle informazioni storiche rese dal Comune, attraverso il suo sito web, con quelle dei tanti autori che nel tempo si sono interessati di Motta Santa Lucia cercherò anche questa volta, come le tessere del puzzle, di arrivare a una ricostruzione storica la più completa ed esauriente possibile, sempre con la finalità di avere alla fine un quadro storico complessivo dei tanti paesi dell’area Reventino-Savuto e non, legati tra loro da un cordone ombelicale indissolubile, che è quello che più di ogni altra cosa li accomuna, ossia la loro lingua dialettale, che contemporaneamente sarà oggetto di studio e ricerca per la sua valorizzazione.

Come per gli altri borghi, anche per Motta Santa Lucia non è agevole riorganizzare con esattezza i diversi dati storici relativi alla sua genesi mancando attestazioni e prove certe in riferimento alle epoche precedenti e lontane nel tempo. Il borgo di Motta Santa Lucia, oggi, parte del territorio della Comunità Montana dei Monti del Reventino-Tiriolo, è forse quello che più adeguatamente custodisce le proprie peculiarità medievali dettate in primo luogo dalla selezione strategica con la quale inizialmente fu individuato il luogo sul quale venne poi realizzato l’insediamento. Posta su un colle, la cui composizione del terreno è perlopiù argillosa, calcarea e silicea mista a marna e il cui accesso allora era molto disagevole, i confini territoriali la individuavano a ovest con Martorano, a nord con Pittarella, Scigliano, e Soveria, a est anche con Scigliano e a sud con Serrastretta, e Nicastro. Vale la pena ricordare che ci troviamo in un’epoca nella quale frequenti e sanguinose erano le scorribande saracene, pertanto, l’urgenza di tutelarsi certamente suggerì agli abitanti dell'epoca di abbandonare il vecchio stanziamento di Porchia, di cui non vi sono più segni, collocato nella parte più bassa della vallata e muoversi, invece, più in alto, verso un ambiente meno accessibile all’interno della stessa valle del Savuto, in modo da poter meglio controllare il territorio sottostante e meglio difendersi. Nella parte più sollevata venne eretto il castello feudale, e come era nella tradizione medievale intorno allo stesso e nelle immediate vicinanze si sviluppò il borgo e fu realizzata la principale Chiesa.

Ma vediamo come Motta Santa Lucia viene descritta da studiosi e storici, che nel tempo ne hanno raccontato i suoi diversi profili.

All’inizio del XVII secolo (1601) e sul finire dello stesso (1691) alcune iniziali indicazioni ci pervengono dalle note del Marafioti[1] che intrattenendosi su Martorano dice che questa era vicina ad alcuni Casali, tra cui Motta, e del Fiore[2] che a proposito degli Aquino riferisce di una certa Villa della Motta di Santa Lucia, posta in un luogo più alto da dove era possibile scorgere Aquino, un villaggio sorto da poco tempo, edificato da gente forestiera andata a vivere sotto il dominio dei Principi d’Aquino, da cui il cognome, con pochi abitanti e unita alla Signoria della Motta, e con essa al Contado di Marturano de’ Principi di Castiglione.

A seguire un secolo dopo fu l’Abate Francesco Sacco che descriveva Motta come una “Terra nella Provincia di Cosenza, ed in Diocesi di Martorano, posta sopra un ameno colle d'aria salubre, […] che si appartiene in Feudo alla Famiglia Aquino, Principe di Castiglione, e Conte di Martorano e Ella è un aggregato di quindici Villaggi […] ove sono da notarsi una Chiesa Parrocchiale sotto il titolo di Santa Maria delle Grazie; un Convento de' Padri Conventuali; un Ospedale per gl'infermi; e tre Confraternite Laicali sotto l'invocazione di Santa Maria delle Grazie, di Santa Lucia, e de' Morti, i prodotti poi del suo terreno sono grani, grani dindia, frutti, vini, castagne, ghiande, lini fini e gelsi per seta. Il numero finalmente dei suoi abitanti ascende a tremila cento cinquanta sotto la cura spirituale di un parroco”[3].

Lorenzo Giustiniani[4] nel 1801 la presentava, invece, come una terra facente parte dei possedimenti della famiglia Aquino nella Calabria Citeriore, compresa nella Diocesi di Martorano a 24 miglia da Cosenza e la cui tassa del 1648 fu di 363 fuochi mentre nel 1669 fu di 326.

Così, invece amava scrivere G. M. Alfano nel 1823: “Motta Santa Lucia Terra […] contiene 15 Villaggi: Aquino, San Bernardo, Passaggio, Tomasini, Praticello, Casenuove, Rizzi, Cerrisi, Adami, Stocchi, Palinuro, Cenzo, Liardi, Mannelli, e Colle. Fa di pop. 3.206”[5].

Nel 1868 a raccontare Motta Santa Lucia, fu Amato Amati che così dissertava: “Comune nel Napoletano, provincia di Calabria Ulteriore II, circondario di Nicastro, mandamento di Martirano. Ha una superficie di 2101 ettari. La sua popolazione di fatto, secondo il censimento del 1861, contava abitanti 1702 (maschi 768, femmine 934); quella di diritto era di 1715. La sua guardia nazionale consta di una compagnia con 120 militi attivi. Gli elettori politici sono inscritti nel collegio di Nicastro; Nel 1865 erano 26. L'ufficio postale è a Soveria Mannelli. Appartiene alla diocesi di Nicastro. Il suo territorio è molto fertile e viene irrigato dalle acque di molti ruscelli. È ubertoso in ogni sorta di cereali, ed abbonda di minerali ferrosi e di acque ferruginose. Motta Santa Lucia è un grosso villaggio fabbricato a 23 chilometri da Nicastro. Nelle sue vicinanze i Mamertini di Messenia fondarono nei tempi antichi una colonia, detta prima Mamerto ed ora Martirano. Questa terra fino al 1500 ebbe nome di San Salvadore di Porchia. Fu già tra i casali e le terre da Federico lo Svevo privilegiate col metterle sotto la giurisdizione del regio demanio. Nel 1590 mutò nome, e diventò feudo prima dei De Gennaro e poi degli Aquino di Castiglione. Fu patria di tre vescovi, Francesco Zoardo, Giambattista Falvo e Marcello Sacchi, e di varii scrittori di buona fama, fra cui il poeta Calabro dottor Giuseppe Pirri. Fino al 1804 il comune di Decollatura fece parte di questa comunità. Alcune delle surriferite notizie debbonsi alla cortesia dell'onorevole Sindaco di questo comune”[6]. Con l’Amati si nota l’avvenuto passaggio di Motta dalla Calabria Citeriore in provincia di Cosenza alla Calabria Ulteriore II nella provincia di Catanzaro.

Sulla stessa scia, qualche anno più tardi, è il dott. Pietro Castiglioni[7] che riferisce di Motta Santa Lucia come appartenente alla Circoscrizione di Nicastro, mandamento di Martirano, Provincia di Catanzaro, Collegio Elettorale di Nicastro, con 1675 abitanti.

Attraverso le suddette note, e quelle del Valente[8], inoltre, si riesce a prendere atto soprattutto della evoluzione demografica che ha interessato Motta a partire dal XVI secolo quando ancora gli abitanti venivano registrati attraverso i fuochi. A Motta nel 1532 se ne registravano all'incirca 132, mentre nelle successive registrazioni furono: nel 1545/151, nel 1561/218, nel 1595/235, nel 1648/363 e nel 1669 326. La popolazione nel 1689 era di 1.818 abitanti, nel 1709 passò a 2.069, alla fine del ‘700 il numero fu di 2.350 abitanti, mentre nel 1851 questa era di 1.421 e nel 1861 di 1.589, mentre nel 1871 di 1.675, nel 1881 di 1.747, nel 1901 di 1.720, nel 1911 di 1.829, nel 1921 di 1.809, nel 1931 di 2.002, nel 1936 di 2.101 ed infine nel 1951 di 1.891.

Le suddette indicazioni sono molto preziose per conoscere meglio quelle che sono le peculiarità della moderna Motta, oggi, Comune nella provincia di Catanzaro con 840 abitanti di cui M 419 e F 421, occupanti una superficie di 25,69 Kmq con una densità di 32,7 abitanti per Kmq, in posizione amena, posta sulla punta di una collina a 590 m sul livello del mare, con una variazione altimetrica compresa tra 165 e 1352 m., situata nella parte più bassa della vallata attraversata dal Savuto, alle frange della Sila Piccola e come già accennato appartenente alla Comunità Montana Monti Tiriolo-Reventino-Mancuso e facente parte della Regione Agraria n. 1 - Montagna del Reventino al confine con i Comuni di Conflenti, Decollatura, Martirano, in provincia di Catanzaro e Altilia e Pedivigliano in provincia di Cosenza.

Secondo le informazioni generali sul luogo, la sua etimologia ricorre a un nome combinato da due termini. Il primo è quello di motta che significa zolla o mucchio di terra, il secondo è il nome della Santa molto venerata nel paese alla quale è stata intitolata anche una Chiesa, Protettrice di Motta la cui festa patronale cade il 13 dicembre di ogni anno. I suoi abitanti sono chiamati Mottesi.

L’assetto urbanistico primitivo del borgo, verosimilmente di epoca normanna, seppure fortemente colpito e danneggiato dal terremoto del 1638 che distrusse Motta, e quelli successivi fino all’ultimo del 1905 che provocò danni insanabili, prevalentemente è riuscito a conservarsi, e paradossalmente ha resistito anche a quello che poteva essere uno sviluppo urbanistico speculativo, impedito, in questo caso, soprattutto dalla tipologia di un territorio che si presentava fortemente degradante fino a raggiungere la sottostante valle del Savuto. Ciò favorì, nel corso dei secoli, interventi di restauro e consolidamento edilizio limitati solo alle originarie dimore e ai quartieri già esistenti, rendendo del tutto irrealizzabile la costruzione di nuovi. In particolare, dopo la distruzione del 1638, furono ricostruite le zone dette di San Nicola e Santa Lucia, le più immediate al pianoro dove sorgevano le rovine del castello, e fu proprio in tale occasione che Motta di Porchia cambiò la propria denominazione in Motta Santa Lucia. Tali criticità nel tempo suggerirono, agli abitanti di Motta, lo spostamento verso siti migliori tra cui altri luoghi della Diocesi di Martirano, in particolare la vallata del fiume Amato, allettati, come in altra occasione ho avuto modo di ricordare, dagli estesi terreni dell'Abbazia di Corazzo e dai fondi rustici vescovili. Successivamente, a seguito della reazione sanfedista e il ritorno del governo Borbone in Calabria, la popolazione riuscì in qualche modo a portare a compimento alcuni interventi conservativi sui fabbricati esistenti cercando di dare risalto maggiormente a quelli che erano gli elementi di pregio presenti nel centro storico.

Il forte fenomeno dell’occupazione di nuovi insediamenti conferma in parte la diminuzione demografica di Motta che è passata dagli oltre duemila abitanti registrati nel corso del XIX secolo agli 840 di oggi. In generale, come per tutti i paesi del meridione, anche per Motta la manifestazione emigratoria verificatasi nell’ultimo secolo è responsabile del calo demografico registrato. Basti pensare che la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo si caratterizzarono per il forte esodo di molteplici e interi nuclei familiari di Motta alla ricerca di migliori condizioni sociali. Le mete preferite furono le Americhe. Un fenomeno che continuò anche successivamente nel corso delle due guerre mondiali e ancora poi verso i paesi europei e del Nord del Paese.

Nei fatti, molta complessa appare la storia di Motta. Pur privi di prove atte a dimostrarne l’esistenza, però, non manca chi sostiene, che uno degli antichi insediamenti umani di Motta Santa Lucia fu quello di Porchia, verosimilmente impiantato dai Romani vicino a Mamerto intorno alla metà del VI secolo a.C. Questo è sostenuto dal fatto che i Romani erano presenti in quel territorio lungo la via Popilia dove nelle immediate vicinanze di Martirano, era collocata, come richiamato nel Itinerarium Antonini, la “Statio ad flumen Sabatum” creata proprio dai Romani per palesi compiti bellici. Non mancano gli studiosi che avanzano l’ipotesi che questo insediamento, geograficamente, fosse situato sulla parte sinistra del fiume Savuto, alle pendici della parte occidentale del Monte Reventino, come non mancano affermazioni che Porchia abbia ripetutamente subito rovine a causa dei terremoti e delle alluvioni. Intorno alla metà del X secolo a causa delle scorribande e incursioni saracene, fu interamente distrutta con gli abitanti obbligati ad allontanarsi nelle montagne vicine in luoghi meno accessibili e più sicuri. Questo, quasi certamente, fu il primo vero motivo che favori nel circondario intorno ai boschi del Reventino e del Savuto la formazione di nuovi insediamenti abitativi sotto forma di villaggi, uno dei quali si chiamò Motta di Porchia. Proprio per quanto appena citato secondo altri ancora, non si esclude che anche nell’epoca di Bisanzio il sito di Motta fosse una guarnigione mili­tare, per proteggere le popolazioni dai ripetuti attacchi.

A cominciare da X e XI secolo Motta Santa Lucia seguì le vicende storiche e religiose delle diverse dominazioni ad iniziare da quella dei Normanni, epoca nella quale si cercò di rafforzare il rito latino cercando di ridimensionare quello greco, stabilizzazione che continuò anche nel XII secolo con l’arrivo degli Svevi attraverso la diffusione di monasteri retti da monaci di culto lati­no.

Perché Motta? Anche sul termine non sono mancate nel tempo alcune discordanze tra studiosi. Evito di entrare nel merito e mi limito ad evidenziare quanto riportato dal Dizionario Devoto-Oli[9] che a riguardo sostiene che il termine Motta indica un blocco di terra staccato dal monte o un piccolo rialzo del terreno: termine assai diffuso nella toponomastica. Il suo etimo deriva dal latino volgare *mut(t)a, da un tema prelatino.

Per me che non conosco il territorio ho trovato interessante e curioso, allo stesso tempo, quanto rilevato dalle notizie riportate da wikipedia, ovvero che «[…] i villaggi che costituirono Motta di Porchia furono denominati dai Santi sotto la cui invocazione erano stati fondati ed ai quali erano state edificate diverse chiese: San Pietro, San Paolo, San Marco, Sant'Angelo, San Donato, San Vito, San Nicola, San Barnaba, San Salvatore, Santa

Lucia. Il più importante fra questi villaggi, quello di San Salvatore, dette il nome al paese che, in alcuni documenti, divenne Motta San Salvatore»[10].

Una breve nota che richiama il borgo, con il suo originale nome, di Motta di Porchia come appartenente al soppresso vescovato di Martorano, il cui vescovo si godeva i beni degli eredi di Enrico Calà siti proprio a Motta, che ne comprovava il dominio con imperiale diploma del 1256, ci viene fornita dall’Abate D’Avino”[11], nota con la quale si evidenzia l’esistenza di Motta già al 1256. Politicamente, difatti, dopo i Sanseverino, il controllo del territorio passò nelle mani dei fratelli Giovanni ed Enrico Calà. Nel secolo successivo vi fu l’arrivo degli Angioini che determinarono sul territorio una grave e persistente situazione di precarietà per le popolazioni.

Successivamente, annessa alla Diocesi di Martirano e ricadente nella omonima Contea, eletta a tale status da Roberto il Guiscardo, ne accompagnò le vicende feudali, i destini e le fortune dei sui vasti possedimenti. Secondo altre indicazioni, sul finire del XIV secolo Motta di Porchia venne concessa in Feudo a Francesco Scaglione, maresciallo del Regno di Napoli, da Carlo III di Durazzo, mentre nel secondo decennio del XV secolo per volere di Luigi III venne data in Feudo dallo stesso a Filippo Giacobbe Tirelli. Feudo che gli venne ancora assicurato prima da Renato d'Angiò e poi da Alfonso I d'Aragona.

A proposito del Casato Tirelli conosciuti prima come Casole ecco quanto sostiene Luigi Palmieri: “Secondo la tradizione, proviene dalla Britannia. – Jacobo Casole, capitano di una squadra di cavalleria, con gli auspici di Carlo III, venne nel nostro Regno, dove combatté sul fiume Sasso. – Orazio Casole, nel 1374, è il primo di questa casa di cui si ha notizia. – Filippo Jacobo Casole, nel 1428, viene chiamato col titolo di nobile e fu stimato da Ludovico III, Renato d’Angiò e dalla regina Isabella. Con Onorata, di probabile casa di Carolei, generò Tirelli. Per le sue gesta ottenne in concessione i feudi di Motta S. Lucia, Grimaldi, Altilia, Scigliano. – Tirello Casole, figlio di Filippo, sposato con una donna di casa Carolei, cambiò per la prima volta il nome da Casole in Tirelli. Questa casa, amata da Ludovico III e Renato d’Angiò, fu odiata da Alfonso I, che la spogliò di tutti i beni, restituiti poi da Galeazzo, duca di Milano. –Angelo Tirelli, uomo valoroso, per le imprese militari, fu fatto colonnello della città di Lucca. – Lorenzo Tirelli, capitano dei fanti, visse nel XVII. La famiglia Casole, oggi detta Tirelli, venne a Cosenza dal regio casale di Casole, bagliva di Spezzano Piccolo. – Durazzo Casole fu il primo di questa casa che venne a Cosenza. Per avere stipulato molti contratti, fu nominato pubblico e regio notaio. Nel 1364, erogò un contratto tra il monastero di S. Maria della Motta e quello di S. Chiara di Cosenza. – Filippo Iacovo Casole, chiamato nobile e suo familiare nel 1426, ottenne da Ludovico III otto once di oro sopra i pagamenti di Scigliano, Motta Santa Lucia, Grimaldi ed Altilia. Questo donativo fu confermato dalla regina Isabella, moglie del re Renato, nel 1435 e dal re Alfonso I, nel 1444” [12].

Nella seconda metà del XV secolo Motta inclusa nella bagliva di Martirano, passò nel demanio Regio di Cosenza e venne governata da Martin Giovanni Scarrera per volere di Federico I d'Aragona. Incarico che passò, sul finire del secolo, al marito della figlia, un certo Andrea de Gennaro e bagliva, sempre per volere del d’Aragona, convertita in feudo e concessa allo stesso de Gennaro col titolo di conte. Alla contea che i de Gennaro detennero fino al 1496 vennero unite le realtà territoriali di Altilia, di Grimaldi e di Scigliano. Le suddette decisioni generano un forte dissenso nella popolazione di Motta provocando anche l’insurrezione della comunità. Dopo alterne vicende e controversie che portarono alla repressione di Motta di Porchia, per opera di Pietro De Castro, Governatore Generale della Calabria, questa sfiancata dalla lunga resistenza nei confronti del feudatario, costretta alla fame, alla resa e persino a ripararsi nei Casali di Scigliano, passò insieme alla stessa Martirano sotto il governo di Carlo d’Aquino, principe di Castiglione, per aver questi sposato una figlia di De Gennaro, conservandone poi il possesso fino all’applicazione delle leggi eversive della feudalità. Sotto i d’Aquino, governatori del Feudo, Motta negli anni del Risorgimento fu affascinata dagli ideali repubblicani della Rivoluzione Francese divenendo un attivo centro risorgimentale e punto di riferimento di tanti patrioti anche se, purtroppo, le intenzioni rivoluzionarie furono soffocate dall’avanzata Sanfedista del Cardinale Fabrizio Ruffo.

Notizie riprese dal SIUSA (Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche), ci dicono che a seguito dell’ordinamento amministrativo disposto nel 1799 dalla Repubblica Partenopea, Motta divenne un Comune nel Cantone di Nicastro. Nel 1807, i Francesi ne fecero un Luogo, ossia Università nel cosiddetto Governo di Martirano, mentre nel 1811 divenne Comune per le disposizioni applicative del Decreto 4 maggio, istitutivo di Comuni e Circondari, rimanendo nella giurisdizione di Martirano. Qualche anno dopo la Calabria per volere del governo Borbone, venne riorganizzata amministrativamente in tre province: la prima con capoluogo Cosenza chiamata Calabria Citeriore, la seconda con capoluogo Reggio Calabria detta Calabria Ulteriore Prima e la terza denominata Calabria Ulteriore Seconda avente come capoluogo Catanzaro. Appartenuta sempre alla provincia di Cosenza, nel 1816, proprio per il nuovo assetto amministrativo Motta transitò dalla provincia di Cosenza a quella di Catanzaro. Ulteriori e dettagliate informazioni su quanto sopra esposto si possono trovare in un volume curato dalla Scuola Media di Decollatura e Motta Santa Lucia ed edito dalla Grafica Reventino[13].

Come i tanti paesi della Calabria anche Motta non fu incolume dal triste fenomeno del brigantaggio postunitario, che nella regione si manifestò con virulenza già prima dell’Unità d’Italia per la fallita riforma agraria e a seguito della vessazione imposta dalle classi sociali benestanti. Proprio su tale fenomeno si concentra un recente studio confluito nel volume di Domenico Iannantuoni e Francesco Antonio Cefalì. Ricerca con la quale gli autori “tentano di chiarire al grande pubblico, […] i molti dubbi su fatti, date, episodi salienti della vita di Giuseppe Villella, portando altresì alla luce l’inedita storia del brigantaggio a Motta Santa Lucia, relativamente alla fine del 1800”[14].

Per quanto riguarda il profilo economico del luogo, questo da sempre ha fatto leva sull’agricoltura e in relazione soprattutto alla qualità del terreno che risulta ancora oggi molto articolato tra zone pianeggianti, collinari e montuose ricche di acqua per la presenza di fiumi e sorgenti. La parte montuosa è ricca di boschi in particolar modo castagni e querce e pascoli per gli animali considerato anche l’apporto dato al settore economico dal patrimonio zootecnico rappresentato prevalentemente dall’allevamento di ovini con la conseguente trasformazione del latte in prodotti caseari e dall’allevamento del suino nero di Calabria. Tra i principali prodotti troviamo il legno destinato alle lavorazioni artigianali, cereali, legumi, castagne, fichi, grano, olio, frutta ortaggi e vino, oggi bene inserito a pieno titolo nella zona di produzione del Savuto DOC, insieme ad altri paesi del circondario tra cui Rogliano, Santo Stefano di Rogliano, Marzi, Belsito, Martirano Lombardo, Nocera Tirinese. In passato interessante era il funzionamento di alcuni frantoi oleari e mulini, la coltivazione del lino, grani, grani dindia, mais, frutti, vite, castagne, ghiande, e gelsi per la produzione della seta. All’economia del luogo, oltre al supporto fornito dagli operai, dagli agricoltori e da alcuni piccoli proprietari, non mancò certamente il contributo delle diverse tipologie manifatturiere del luogo praticate da valenti artigiani come sarti, calzolai, falegnami, mugnai, pentolai, bettolieri, mulattieri, fabbri, muratori.

Aspetto non secondario di Motta Santa Lucia è il patrimonio dei beni architettonici e culturali così come riportato dal sito web della Comunità Montana del Reventino[15]: chiese, monumenti, palazzi tra i quali si vogliono indicare i Palazzi: Notarianni-Pirri, Sacchi, Colosimo, Stranges-Bevacqua, Pingitore, Putaro; le Chiese di S. Francesco, della Cona, di S. Maria delle Grazie, di S. Caterina, di S. Lucia. I ruderi della chiesa di S. Tommaso D'Aquino ed il casale d’Aquino ad Aquino, i mulini Colosimo, Tosti e Pingitore.

Relativamente al patrimonio ecclesiastico alcune informazioni si ricavano, invece, dal sito della Diocesi di Lamezia Terme che così descrive: “Chiesa S. Maria delle Grazie. Della chiesa si hanno poche frammentarie notizie. Essa apparteneva al convento dei francescani dal 1630 con dedicazione a San Antonio, infatti vi si conserva una pregiata statua lignea del Santo secolo XVII. Dopo recenti interventi di restauro la chiesa si presenta nella sua solenne sobrietà. Interno: unica ampia navata, pareti liscie, soffitto a capriata in legno, e arco santo in tufo. Esterno: facciata a capanna, portale in tufo. La gloriosa storia di Motta, faceva contare ben 12 chiese, di alcune sono ancora visitabili i ruderi. Non rimane traccia dell'antica chiesa Madre, intitolata alla Madonna delle Grazie; l'imponente edificio che sorgeva al centro del paese, era costituito da tre ampie navate, fu definitivamente abbattuto negli anni '60. Aperte al culto vi sono la chiesa di Santa Lucia, fondata nel 1546 che nasce come chiesa congregale assieme a quella del SS. Sacramento della Annunziata e del Purgatorio. Funziona ancora la chiesa di San Francesco di Paola, nei pressi del cimitero, suolo su cui sorgeva il convento dei frati minimi. Le altre chiese sono: Madonna di Porchia, San Vito, Santa Filomena, Santa Caterina, San Tommaso, Madonna del Soccorso. Di recente donazione alla parrocchia vi è la chiesa della Madonna della Consolazione, che però necessità di urgenti interventi di restauro”[16].

Bibliografia

[1] Cfr. F. Girolamo MARAFIOTI, Cronache et Antichità di Calabria, Libro Terzo, Ad Istanza degli Uniti, Padova MDCI, p. 223.

[2] Cfr. P. Giovanni FIORE da Cropani, Della Calabria Illustrata Opera varia istorica, Tomo I, Dom. Ant. Parrino e Miche Luigi Mutij, 1691, p. 119.

[3] Abate D. Francesco SACCO, Dizionario Geografico-Istorico-Fisico del Regno di Napoli, Tomo II, Presso Vincenzo Flauto, Napoli MDCCXCVI, pp. 302, 303.

[4] Cfr. L. GIUSTINIANI, Dizionario Geografico-Ragionato del Regno di Napoli, Tomo VI, Napoli 1803, pp. 173 174.

[5] Giuseppe Maria ALFANO, Historica descrizione del Regno di Napoli, Dai Torchi di Raffaele Miranda, Napoli 1823, pp. 170, 171.

[6] Amato AMATI, Dizionario Corografico dell’Italia sotto l’aspetto fisico, militare, storico, letterario, artistico e statistico, parte terza, volume V, ME-PE, Francesco Vallardi tipografo editore, Milano 1868, p 473.

[7] Cfr. Pietro CASTIGLIONI Statistica del Regno d’Italia, Circoscrizioni e dizionario dei Comuni, secondo il censimento del 31 dicembre 1871, compilato dal Dott. Pietro Castiglioni, parte prima, Roma stamperia Reale 1874, p. 30.

[8] Cfr. Gustavo VALENTE, Dizionario dei luoghi della Calabria, M-Z, volume 2, Edizioni FRAMA’S, Chiaravalle Centrale (CZ) 1973, pp. 660-662.

[9] Cfr. il DEVOTO-OLI, 2016.

[10] https://it.wikipedia.org/wiki/Motta_Santa_Lucia.

[11] Vincenzo D’AVINO, Cenni storici sulle Chiese arcivescovili, vescovili e prelatizie (nullius) del Regno delle Due Sicilie, raccolti, annotati, scritti per l’ab. Vincenzo D’Avino, Dalle Stampe di Ranucci, 1848, p. 466.

[12] Luigi PALMIERI, Cosenza e le sue famiglie: attraverso testi, atti e manoscritti, Volume 1, Pellegrini Editore, Cosenza 1999, p. 523.

[13] Cfr. AA. VV., Decollatura e Motta S. Lucia: due comunità del Reventino, Decollatura: Grafica Reventino, 1980.

[14] Saverio STRATI, Prefazione, in Domenico IANNANTUONI e Francesco Antonio CEFALÌ Perché briganti? La vera storia del "brigante" Giuseppe Villella di Motta S. Lucia (CZ), BookBaby 2014.

[15] Cfr. http://www.comontreventino.cz.it/index.php?action=index&p=278.

foto di Mario Migliarese

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2 Comments


francocarlino
francocarlino
Aug 22, 2018

Andrebbe insieme agli altri integrato con le foto.

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uhocularu
uhocularu
Aug 02, 2018

Grazie per il bellissimo articolo.

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